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IL MAESTRO

 

 Dopo L’ultima notte di Amore torna la collaborazione tra Andrea Di Stefano e Pier Francesco Favino. Presentato con successo alla Mostra del Cinema di Venezia 2025, il film è una commedia agrodolce “on the road”, un racconto di formazione e riscatto dove lo sport diventa specchio della vita.

Estate, fine anni Ottanta. Dopo anni di allenamenti duri e regole ferree, Felice, tredici anni e sulle spalle tutte le aspettative paterne, arriva finalmente ad affrontare i tornei nazionali di tennis. Per prepararlo al meglio, il padre lo affida al sedicente ex campione Raul Gatti, che vanta addirittura un ottavo di finale al Foro Italico. Di partita in partita, i due iniziano un viaggio lungo la costa italiana che, tra sconfitte, bugie e incontri bizzarri, porterà Felice a scoprire il sapore della libertà e Raul a intravedere la possibilità di un nuovo inizio. Tra i due nasce un legame inatteso, profondo, irripetibile. Come certe estati, che arrivano una volta sola e non tornano più.

 

Genere: Drammatico

 

Regia: Andrea Di Stefano

 

Attori: Pierfrancesco Favino, Tiziano Menichelli, Giovanni Ludeno, Dora Romano, Paolo Briguglia, Valentina Bellè, Carlo Gallo, Edwige Fenech

 

Durata:125 min

 

Critica: Un’opera vitale, che recupera una certa tradizione di cinema italiano agrodolce e non ha paura degli azzardi, proprio come la lezione del suo strepitoso protagonista. 

Come da insegnamento del “maestro accompagnatore” Raul Gatti, Andrea Di Stefano non ha paura di azzardare, di sbilanciarsi in avanti, di superare la linea in questo suo quarto film da regista, sicuramente quello in cui il l’autore si prende i rischi maggiori (e Pierfrancesco Favino con lui), con il risultato di costruire un’opera personale, pulsante, in alcuni momenti eccessiva, ma anche per questo sempre vitale.

La dichiarazione d’intenti la offre nelle primissime sequenze il padre del piccolo protagonista Felice: questa è una storia di tennis “da battaglia”, non di “tennis da figli dei ricchi” (insomma un anti-Challengers?), raccontata nei tornei estivi di periferia, con il pubblico annoiato dei pomeriggi assolati sulle tribune, i bambini “caricati” alla competizione disperata dai genitori sugli spalti, che riversano i propri sacrifici economici familiari quotidiani e la propria voglia di rivalsa sociale sui sogni di gloria dei “piccoli campioni” di casa.

È una storia in cui non può non riconoscersi chiunque abbia praticato in giovane età uno sport agonistico: le aspettative di madri e padri, le figure tragicomiche di questi allenatori con un grande avvenire dietro le spalle, che le occasioni mancate della vita e della carriera sportiva se le portano negli occhi. Intorno a questa struttura di viaggio, con la vecchia gloria Raul Gatti che accompagna, appunto, la giovane promessa 13enne Felice per i tornei validi per il ranking nazionale di tennis lungo l’Italia in una estate degli anni ’80, tra Cucuruccuccu Paloma e Drupi alla radio, Di Stefano e Ludovica Rampoldi costruiscono un chiaro omaggio ad un certo cinema italiano agrodolce, tra Dino Risi e Luigi Comencini a, per dire, Sergio Corbucci, senza avere vergogna di spingersi in alcuni momenti puramente grotteschi, e in parentesi visionarie come il Cristo che batte un servizio dalla croce, o la folle fuga sulle note di Cochi & Renato.

“Stiamo giocando un doppio, io e te”, si dicono ad un certo punto l’allievo e il maestro, ed è esattamente così, se da un lato in campo il film segue il percorso di emancipazione di Felice dall’ossessione del padre nei confronti del suo futuro da campione, dall’altro il viaggio tra i tornei sarà per Raul un modo per fare i conti con il proprio passato disastrato.

Intorno a lui, tutte mascolinità fragili, uomini tutti d’un pezzo che scoppiano in lacrime, o non nascondono la loro acrimonia come il vecchio rivale Roberto Zibetti, o straparlano come il compagno della vecchia fiamma Valentina Bellé. Il film non sarà mai conciliatorio o conciliante nei loro confronti, non offrirà praticamente mai soluzioni consolatorie – un altro aspetto decisamente inusuale in produzioni del genere.

Soprattutto, Pierfrancesco Favino con Raul Gatti aggiunge una nuova figura memorabile alla propria galleria di caratterizzazioni: questo personaggio derelitto, che ha dissipato l’intera esistenza dietro gli eccessi per mascherare il proprio sentirsi inadeguato, e che vediamo dividersi tra la letargia da psicofarmaci e i guizzi del vecchio fascino da sex symbol, riesce a trasmettere un dolore reale dietro ogni sguardo e ogni sorriso forzato.

Seppure il film possa apparire appesantito da un eccesso di metafore scoperte (il sorriso è una di queste, come anche il campetto sgarrupato dove Raul si allenava da giovane, da rimettere in sesto, le linee da non superare sul campo, e così via), Di Stefano e il suo d.o.p. Matteo Cocco vanno progressivamente liberandosi alla stregua dei loro protagonisti, fino alla sezione partenopea finale, con la festa a casa della ex, indubbiamente lacerante.

Il regista va confermandosi così, dopo le suggestioni da romanzo nero italiano del precedente L’ultima notte di Amore, un autore dalla matrice fortemente letteraria, il padre di Felice che resta a casa d’estate a fare tre lavori per poter permettere al figlio di avere un maestro di tennis personale sembra quasi una figura alla De Amicis.  TORNA ALLA HOME PAGE