
LA VOCE DI
HIND RAJAB
Quel giorno, i volontari della Mezzaluna Rossa ricevono una chiamata d’emergenza: una bambina di sei anni, intrappolata in un’auto nel pieno di una sparatoria a Gaza, implora di essere soccorsa. Gli operatori, in costante contatto con la piccola, la cui voce si fa sempre più disperata, sono determinati a fare tutto il possibile per salvarla. A rendere il racconto ancor più tragico è potente, è la consapevolezza che i protagonisti in scena sono tutti interpretati da attori professionisti. Ma la voce che sentiamo al di là del telefono, è la registrazione originale della voce di quella bambina. Il suo nome era Hind Rajab.
La regista Kaouther Ben Hania, già celebrata per Quattro figlie (distribuito in Italia sempre da I Wonder Picture), ha diretto un film sconcertante ma impossibile da ignorare. Una vicenda di finzione che dura poche ore, ma in cui la realtà irrompe in scena con inesorabile orrore. "Al centro di questo film c'è qualcosa di molto semplice e molto difficile da tollerare - ha dichiarato la regista - Non posso accettare un mondo in cui un bambino chiede aiuto e nessuno accorre. Quel dolore, quel fallimento, appartiene a tutti noi. Questa storia non riguarda solo Gaza. Parla di un dolore universale. E credo che la finzione (soprattutto quando attinge a eventi verificati, dolorosi, reali) sia lo strumento più potente del cinema. Più potente del rumore delle ultime notizie o dell'oblio dello scorrimento. Il cinema può conservare una memoria. Il cinema può resistere all'amnesia. Possa la voce di Hind Rajab essere ascoltata”.
Genere: Drammatico
Regia: Kaouther Ben Hania
Attori: Saja Kilani, Motaz Malhees, Clara Khoury, Amer Hlehel
Durata:89 min
Il film è distribuito in lingua originale sottotitolata
Critica: La Voce di Hind Rajab è stato premiato con il Leone d’Argento – Gran Premio della Giuria e si è aggiudicato anche prestigiosi premi quali il Leoncino d’Oro Agiscuola, la Segnalazione Cinema For UNICEF e il Premio Arca Cinemagiovani. Tratto da una agghiacciante storia vera, il film ci trasporta indietro nel tempo, ad una data precisa: 29 gennaio 2024.
Il cinema al servizio degli esseri umani. un'opera importante che tiene viva la fiamma dell'indignazione.
Striscia di Gaza 2024. Un'auto con a bordo una famiglia viene colpita dalle forze dell'Idf. Sopravvive solo una bambina di 6 anni che la Mezzaluna Rossa palestinese riesce a contattare telefonicamente. Seguiamo quindi i colloqui con Hindi di cui ci viene restituita la voce registrata dal centralino del pronto soccorso. Il suo destino sarà analogo a quello degli altri occupanti dell'auto anche a causa delle molteplici barriere che ostacolano l'intervento dell'ambulanza che si troverebbe a poca distanza da lei.
Quando il cinema si mette al servizio degli esseri umani (ancor più se si tratta di bambini) assolve ad una delle sue funzioni primordiali.
Kaouther Ben Hania, con il supporto produttivo di nomi come Brad Pitt e Alfonso Cuarón, mette al centro di questo film quanto di più anticinematografico si potrebbe pensare: una voce. È quella di Hindi Rajab che la regista ha ascoltato mentre era indirizzata verso tutt'altro progetto e che ha sentito come non eludibile, riflettendo su come si potesse evidenziare lo strazio di una vita sbocciata da poco che non si è potuta salvare.
Togliamo subito dal campo delle valutazioni il sospetto che questo film abbia un contenuto che travalica la forma. Che cioè possa essere apprezzato per ciò che espone più che per come lo fa. Non è così. Siamo di fronte a un cinema che mette la finzione (ricostruita su basi reali) al servizio di una presa di coscienza che non vuole banalmente 'commuovere' quanto piuttosto far pensare. Lo fa attraverso riprese che conservano l'unità di luogo e di azione senza però mai cadere (neanche per un istante) nel teatro su schermo grazie a una camera che costruisce, insieme agli straordinari interpreti, una tensione continua.
Qualcuno lo bollerà come un film di propaganda in cui nulla è vero. Ci pensano le immagini finali a smentire clamorosamente questa prevedibile accusa. Si tratta invece di un film in cui, oltre alla voce reale della bambina che per ore è stata sostenuta psicologicamente con la speranza di poterla salvare, ci viene presentata anche l'impotenza di chi non solo non ha potuto intervenire a tempo debito con i mezzi di soccorso a causa della burocrazia della morte, imposta dagli occupanti, sotto le mentite spoglie dei percorsi protetti, ma poi vi ha trovato a sua volta la morte.
Per decenni ci siamo giustamente e doverosamente commossi dinanzi alle sofferenze patite dagli ebrei a causa del nazismo e dell'antisemitismo. Ora qualcuno vorrebbe però impedirci di fare altrettanto nei confronti di questa strage degli innocenti compiuta in nome della caccia ai terroristi di Hamas, pena l'accusa di diventare a nostra volta antisemiti.
Continueremo a commuoverci davanti alle immagini della bambina col cappottino rosso di Schindler's List ma piangeremo anche per Hindi perché quando un bambino muore poco importa se ciò accade per mano di un genocida o di un massacratore criminale. È morto e tanto deve bastare per suscitare un senso di repulsione per chi lo ha ucciso e chi gli ha ordinato di farlo così come di pietà (nel senso più alto del termine) per lui. Questo film ci aiuta a tenere viva la fiamma dell'indignazione. TORNA ALLA HOME PAGE