QUALE ALLEGRIA
“Mio zio dice di non aver mai sognato in vita sua, mentre io ho passato l'infanzia a sognare che fosse Lucio Dalla”.
Da bambino Francesco ne era convinto, suo zio Massimo e Lucio Dalla si assomigliavano. Anzi, erano la stessa persona. Tutti e due bassi, pelosi, pieni di anelli e catene. Ma soprattutto complicati, anomali, diversi. Ora che è adulto esplora quell'impossibile somiglianza, che gli aveva permesso di capire la disabilità di suo zio, e che adesso guida questo film. Francesco passa il tempo con Massimo, tra la casa di Roma e quella al mare, e filma la sua vita quotidiana mentre sentiamo il suo voice over raccontare il loro rapporto, e riflettere su cosa voglia davvero suo zio, da dove vengano le sue rabbie. I tratti più complessi, interessanti e difficili dello zio vengono illuminati, riletti e reimmaginati proprio grazie a Lucio Dalla, alle sue intuizioni, canzoni, dolori e follie. Perché Lucio Dalla, disperato e giocoso come pochi, gli permette di sentire come lo zio riesca ad essere sia uomo che bambino, fra gioie improvvise e dolori profondissimi. Perché Dalla che dice di vivere in uno strano presente e continuo déjà-vu, gli dà il senso delle giornate troppo uguali dello zio, dove il tempo si confonde fra percorsi obbligati, riti quotidiani, e le mille scatole di cartone che fa e disfa. Perché Dalla che canta quanto la libertà sia difficile e faccia soffrire gli mostra il rapporto fra le gabbie e le rabbie di zio Massimo, e l'enorme forza che ci vuole per camminarci attraverso. Perché queste sue rabbie diventano i vocalizzi scat più furiosi di Dalla, fatti per dire quello che non si può con le parole. Perché Dalla appeso a un albero mentre racconta delle sue venti ore a vedere la tv, gli fa capire perché lo zio si riempia la vita di radio e tv, che pure non gli riempiono mai la testa che continua a pensare e rimuginare. Perché Dalla che canta di «aver cercato per una vita senza trovare» l'allegria stessa, continua poi ancora a cercarla, così come ha fatto con la libertà. In questo gioco di specchi fra lo zio e Dalla, Francesco finisce per volgere lo sguardo verso se stesso, per riconoscere anche le proprie difficoltà, e riflettere sulle proprie somiglianze con zio Massimo. E così comprende perché, anni fa come oggi, abbia chiamato proprio Lucio Dalla ad aiutarlo a comprendere entrambi, e forse a liberarli anche un po'.
Regia: Francesco Frisari
Attori: Massimo Prosperi, Lucio Dalla, Tullia Prosperi, Laura Fuentes Suarez, Roberto Frisari
Genere: Biografico
Durata: 74 min.
Critica: «Ho una manualità catastrofica, ho imparato ad allacciarmi le
scarpe a ventun anni… Ecco, non c’è dubbio che io sia vittima di
un handicap, ma anche che l’ho risolto con allegria».Lucio Dalla
Da bambini le domande sono tante, spesso infinite, e con esse cresce anche il desiderio di trovare delle risposte. Quando le spiegazioni degli adulti non bastano o si fanno troppo vaghe, si smette di chiedere e si inizia a cercare da soli. L’infanzia è un momento in cui si è liberi di immaginare, di creare connessioni bizzarre e straordinariamente intelligenti, capaci di dare un senso anche a ciò che sembra incomprensibile, riportando un po’ di ordine nel caos e nella complessità del mondo. In Quale Allegria, documentario prodotto da Fantomatico in collaborazione con Rai Cinema il regista Francesco Frisari ci porta dentro questo processo, raccontando come da bambino abbia costruito proprie risposte attraverso l’immaginario di Lucio Dalla, trovando nei suoi versi, nel suo corpo e nella sua presenza artistica un modo per comprendere ciò che allora lo disorientava.
L’osservazione come distanza e come legame
Il documentario prende forma attorno alla figura di zio Massimo, fratello della madre del regista, affetto da una grave disabilità cognitiva. Fin da piccolo, Frisari lo ha osservato con costanza, quasi con ostinazione. Guardarlo diventava un modo per essergli vicino, ma anche per prenderne le distanze, per capire, per dare senso a comportamenti che gli apparivano tanto diversi quanto familiari. «Guardare vuol dire immaginare» afferma Frisari. E in quell’osservare ogni gesto, ogni parola sconnessa, ogni improvvisa crisi di rabbia dello zio, cercava, appunto, di immaginare un significato, una possibile chiave di lettura per comprendere quel suo incredibile modo di essere così unico e complesso. Perché quella diversità che riconosceva in lui, in qualche modo, la sentiva anche propria
Dalla, lo zio e il riflesso immaginato
Nel tentativo di dare un volto e un nome a questa somiglianza profonda, Frisari – da bambino – costruisce una figura che possa contenere, spiegare e rappresentare questa complessità: Lucio Dalla. Una figura abbastanza fuori dal comune da poter diventare un punto d’incontro tra lui e lo zio. Da qui prende forma, almeno nelle intenzioni, il gioco di specchi su cui si fonda il documentario: Frisari si riconosce nello zio Massimo, e attraverso uno sguardo tutto suo, lo rivede in Lucio Dalla. Il cantautore diventa così una presenza viva ma sfumata nel racconto: le sue canzoni, le sue parole i materiali d’archivio si intrecciano con le immagini della quotidianità dello zio e con la voce narrante del regista, senza però, che la sua figura riesca a imporsi quanto dovrebbe. Questa, accompagna, suggerisce, ma non entra mai davvero nel cuore della storia, che resta invece saldamente ancorata al legame tra Frisari e lo zio.
Somiglianze reali e simboliche
L’associazione tra Dalla e zio Massimo nasce inizialmente da un dettaglio semplice e quasi buffo: i peli. Entrambi ne erano coperti, una caratteristica che, agli occhi del regista ancora bambino, li rendeva speciali, quasi animali fantastici. Crescendo, però, quella somiglianza ha iniziato a caricarsi di significati più sottili e profondi. La loro comunanza non era più solo fisica, ma diventava espressiva. In Dalla, Frisari ritrova una sensibilità affine a quello dello zio: un modo tutto suo di abitare il tempo, di esprimersi, di vivere il silenzio e la dissonanza. L’universo artistico del cantautore – fatto di jazz, parole in bilico, estetiche fuori dagli schemi – diventa così un linguaggio alternativo per interpretare la complessità dello zio, un linguaggio che va oltre le parole e le immagini e che permette di cogliere ciò che altrimenti sfuggirebbe a una lettura logica e lineare delle sue azioni.
Una presenza che si dissolve
Nonostante la costruzione infantile e affascinante che lega simbolicamente Lucio Dalla a zio Massimo, il gioco di rispecchiamenti tra i due non si traduce pienamente in immagini né in una struttura narrativa coerente. La figura del cantautore resta una presenza poetica, evocata più che realmente inserita nella narrazione. Quale Allegria si concentra soprattutto sul vissuto del regista e sulla quotidianità dello zio: le sue routine, le sue crisi, le sue fissazioni. E se da un lato Dalla agisce come voce di fondo, come possibile chiave di lettura, dall’altro non riesce ad acquisire lo stesso peso narrativo né dello zio né della voce del regista. È il rapporto tra Frisari e suo zio a determinare il vero centro emotivo del film, è tra loro che si realizza il vero gioco di specchi. La voce del nipote, la sua presenza è forte e guida l’intero racconto. È lui a costruire significati, a scegliere cosa mostrare e come raccontarlo, a mettere in scena un legame che è fatto tanto di vicinanza quanto di distanza, di identificazione ma anche di frustrazione.
Tra conflitto e riconoscimento
Non si tratta infatti di una simbiosi totale. Tra il regista e lo zio c’è un continuo alternarsi di attrazione e rifiuto, di riconoscimento e distanza. Nei momenti di confronto reale, la relazione non è mai pacificata: emergono tensioni, opinioni divergenti, silenzi, scatti. Eppure, è proprio in questo spazio irrisolto che prende forma il nucleo emotivo più autentico del film. «È esagerato, è stravedere mettere insieme i miei dolori, le mie difficoltà, di me che sono fortunato con le sue?» si chiede Frisari. Ed è in questa domanda – che resta sospesa – che si svela il senso profondo di Quale Allegria: zio Massimo, per il regista, è sempre stato uno specchio enorme e profondissimo, in cui guardarsi per provare a capire sé stesso. TORNA ALLA HOME PAGE






















